change management

Engagement aziendale, le regole per un coinvolgimento davvero vincente

Il punto di partenza è trattare il dipendente come un cliente interno secondo le logiche di marketing multichannel: trasparenza e comprensione della strategia aziendale, uguaglianza di trattamento economico rispetto a ruoli e differenze di genere e personalizzazione dei servizi offerti. In un rapporto one to one. Ce ne parla Melanie Hache, HCM Strategy Director di Oracle per il Sud Europa

28 Apr 2017

Melanie Hache, HCM Strategy Director di Oracle per il Sud EuropaL’engagement dei dipendenti è uno degli impegni più annunciati e meno realizzati dalle aziende, che riconoscono l’impatto positivo sulla produttività di una forza lavoro motivata e flessibile, disposta a percorrere il miglio extra per contribuire al successo dell’azienda, ma che è ancora lontana dall’essere davvero ingaggiata, come conferma l’HR Trends 2017 di Oracle. Come muoversi allora per rendere concreto ed efficace il coinvolgimento del personale?
Con la globalizzazione e la digitalizzazione il modo di lavorare è cambiato e i tempi di reazione e adattamento sono sempre più veloci e compressi. Cosa fare allora perché i dipendenti stiano al passo e accettino le nuove condizioni di lavoro senza rallentare i processi con comportamenti resistenti? «Devono sentirsi considerati e rispettati come persone, non come ingranaggi da spremere il più possibile quando serve e poi trascurati, dimenticati», spiega Melanie Hache, HCM Strategy Director di Oracle per il Sud Europa, che in questa intervista ci dà consigli utili per un ingaggio concreto dei collaboratori.

Come si fa a trattare i collaboratori come persone a tutto tondo?

Oggi le tecnologie digitali automatizzano le operazioni amministrative a carico della Divisione Risorse Umane e, così facendo, liberano energie per occuparsi di compiti a maggiore valore aggiunto, come l’attenzione concreta alle persone e al loro sviluppo. Ma per farlo l’HR deve cambiare mentalità, uscire dal corner della routine e prendere coscienza delle proprie risorse, delle loro caratteristiche e attitudini, delle nuove competenze e professioni necessarie da sviluppare all’interno o reperire sul mercato e dei bisogni specifici dei propri collaboratori non solo in ufficio ma anche fuori, perché il confine tra vita privata e lavoro è sempre più labile. In pratica, la funzione HR dovrebbe sviluppare un rapporto più diretto, one to one, con il personale, trattandolo come un vero e proprio cliente interno.

Un approccio marketing con il cliente interno?

Sì, le grandi aziende che hanno completato la riformulazione del marketing e del servizio al cliente in chiave multichannel ora comprendono la necessità di fare lo stesso con chi rende possibile quel servizio al cliente, ossia la forza lavoro interna che si aspetta una certa coerenza dall’organizzazione, sia che le cose vadano bene sia che l’azienda sia in fase di rilancio o di change management. Trasparenza e comprensione della strategia aziendale, coinvolgimento e uguaglianza di trattamento nonostante le differenze di genere e non solo, nonché personalizzazione dei servizi e della crescita professionale in base alle esigenze personali sono le principali richieste dei collaboratori per sentirsi bene ed essere disposti a fare più del necessario. E le tecnologie in questo aiutano.

Le tecnologie da un lato automatizzano e, dall’altro, fornendo più informazioni sui dipendenti consentono una maggiore personalizzazione dei servizi?

Sì, grazie ai moduli HR integrati e alla lettura degli analytics l’ufficio del personale ha una visione complessiva, e al tempo stesso analitica, della forza lavoro di cui può osservare diverse variabili. Sul fronte dell’inclusione, per esempio, si possono verificare le differenze di trattamento a livello globale rispetto al genere e correre ai ripari. Per motivi di privacy in Europa si possono monitorare solo le differenze rispetto al genere, mentre negli Stati Uniti le maglie sono più larghe. Sullo sviluppo professionale è possibile raccogliere informazioni anche sulle preferenze e aspirazioni del dipendente e sulle sue passioni extralavorative, proponendogli soluzioni di crescita più su misura per lui, oltre che per le esigenze aziendali. L’importante, se vogliamo chiedere uno sforzo in più ai nostri collaboratori, è far comprendere che conosciamo bene i loro bisogni e aspettative e che cerchiamo soluzioni adatte a loro, che ci occupiamo di loro.

Come vede l’intelligenza artificiale, che per molti farà concorrenza al lavoro?

L’intelligenza artificiale non deve farci paura, è un aiuto al lavoro. Coprirà le funzioni più ripetitive e le decisioni più semplici, lasciando spazio a quelle più complesse e strategiche e ai compiti a più valore aggiunto. Poi bisognerà saper governare, interpretare e manutenere queste macchine intelligenti, quindi si delineano all’orizzonte nuove funzioni e competenze.

La selezione del personale, già affidata ad algoritmi per i grandi numeri, potrà essere sostituita da macchine e robot anche per le figure manageriali?

Il nostro modulo del recruiting, di cui deteniamo il 50% del mercato, è già intriso di automatismi e di una lettura emozionale del linguaggio durante il colloquio videoregistrato. Nel giro di poco tempo sarà possibile anche una interpretazione del linguaggio non verbale. Questi strumenti di supporto per ridurre i pregiudizi interpretativi soggettivi riguardano anche le figure apicali, ciò che conta è usarli in forma blended, alternati con l’interazione umana e non sostitutivi rispetto alla decisione finale che spetta comunque a persone che devono decidere se portare a bordo o no altre persone. Quello che le tecnologie possono aiutare a fare è una “candidate experience multichannel”, anche con simulazioni e interazioni per verificare il tipo di dinamica con quelli che potrebbero essere i futuri colleghi, capi o collaboratori, in una logica di personalizzazione dalla selezione in avanti.

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