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PWC-Commissione UE: Public Procurement, a che punto siamo

Lo spaccato sul nostro Paese di un’analisi europea della società di consulenza mette in luce un’adozione frammentata degli acquisti online da parte della PA, utilizzati da circa la metà delle amministrazioni, con forti differenze tra le regioni. Manca un disegno d’insieme, ma le riforme hanno migliorato trasparenza, efficienza e prevenzione della corruzione

09 Mag 2016

Il Public Procurement rappresenta un volano per la corretta attuazione delle politiche europee. È, infatti, con gli appalti che è spesa la maggior parte dei fondi strutturali e degli altri fondi di investimento europei. Il processo sottostante, che coinvolge organi decisionali e di controllo nazionali e subnazionali, è tuttavia complesso e la sua gestione rappresenta una della grandi sfide per i paesi membri dell’Unione.

Per comprendere a che punto è il Public Procurement, chi gestisce gli appalti, qual è la capacità amministrativa e quali sono i sistemi e le prassi adottate, la Direzione per le Politiche regionali e urbane della Commissione europea ha commissionato a PwC uno studio che ha coinvolto i 28 stati membri dell’UE, con l’obiettivo di individuare i margini di miglioramento e le azioni da pianificare.

In particolare, una delle dimensioni d’analisi ha riguardato le strategie di eProcurement adottate dei Paese membri dell’UE. Per quanto riguarda l’Italia – a conferma di quanto emerso dalla ricerca dell’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano – si evince che, nonostante sia stata definita una strategia all’inizio del decennio, l’adozione dell’eProcurement risulta ancora frammentata e mostra livelli di introduzione estremamente disomogenei. A livello nazionale, le amministrazioni effettuano gli acquisti tramite contratti quadro gestiti da Consip, la centrale di committenza nazionale che realizza il Programma di razionalizzazione degli acquisti nella PA, responsabile della piattaforma online “acquisti in rete pa”, il portale della Pubblica Amministrazione.

Consip gestisce, infatti, anche il MePA (Mercato Elettronico della P.A.), il mercato elettronico digitale dove le amministrazioni possono consultare il catalogo delle offerte ed emettere direttamente online ordini di acquisto o richieste d’offerta per beni e servizi confrontando le proposte dei diversi fornitori che hanno ottenuto l’abilitazione per operare sulla piattaforma. È Consip stessa, che definisce con appositi bandi le condizioni generali di fornitura, sancisce l’idoneità dei fornitori e gestisce la pubblicazione e l’aggiornamento dei cataloghi. In Italia il mercato elettronico è quello che in assoluto riscuote maggiore successo nell’ambito degli acquisti pubblici ed è utilizzato dal 50% delle amministrazioni.

Dall’analisi è emerso che complessivamente l’eProcurement è utilizzato da circa la metà delle amministrazioni aggiudicatrici e per lo più per i beni standardizzati. A livello regionale, invece, esistono ancora differenze significative: ad esempio, la Lombardia, l’Emilia Romagna e la Provincia di Bolzano hanno introdotto delle procedure strutturate di eProcurement, mentre nelle restanti regioni la digitalizzazione delle procedure di appalto avviene ancora su base volontaria e si riscontrano dei ritardi. Il nostro Paese è, invece, uno di quelli dell’Unione Europea che maggiormente ricorre alla procedura, per altro non obbligatoria, di e-submission (73%), che consente ai fornitori di presentare le loro offerte sul mercato pubblico di acquisto elettronicamente.

Complessivamente, si riscontra quindi la mancanza di un disegno chiaro e di una roadmap che guidi passo passo le amministrazioni. In particolare, una delle maggiori criticità da superare, per velocizzare l’adozione degli strumenti digitali, sarà colmare la mancanza di competenze IT delle amministrazioni aggiudicatrici.

4,7 miliardi risparmiati grazie al rafforzamento della Consip

In Italia il processo di Procurement è gestito da oltre 30.000 amministrazioni aggiudicatrici, tra cui figurano i ministeri, le agenzie nazionali e le aziende di proprietà pubblica. A livello nazionale la centralizzazione degli appalti avviene attraverso Consip. Inoltre, oggi, alcune delle regioni più grandi hanno anche le loro centrali di committenza, questo perché la maggior parte della spesa avviene a livello subnazionale: oltre il 60% degli appalti pubblici è commissionato da enti territoriali e anche le forniture e i servizi sono in gran parte acquistati localmente.

Più di tre quarti dei contratti di fornitura sono assegnati attraverso procedure aperte, cioè oltre il 50% del valore totale. Inoltre le autorità italiane fanno ricorso alle procedure negoziali nel 25% dei casi, in particolare nella forma che non prevede la pubblicazione del bando di gara.

Purtroppo in Italia, sottolinea PwC, il sistema di approvvigionamento è tuttora soggetto a corruzione e inefficienza, in parte a causa della mancanza di capacità amministrativa della pubblica amministrazione e in parte perché il quadro legislativo è ancora debole. Inoltre il sistema è caratterizzato dalla presenza di imprese società “in-house” a partecipazione statale, che sono ampiamente utilizzate per acquistare beni e servizi pubblici e che generalmente non rispondono a norme specifiche sugli appalti.

Negli ultimi anni nel nostro Paese è cresciuta l’attenzione verso i processi che riguardano la PA. In questa direzione sono state attuate numerose riforme che hanno coinvolto direttamente o indirettamente questo settore, con risultati incoraggianti come rileva il rapporto, in termini di miglioramento della trasparenza, dell’efficienza e della prevenzione della corruzione. Per migliorare la performance nell’uso dei fondi è stato creato un working group ad hoc. Anche il rafforzamento della Consip ha consentito un risparmio di circa 4,69 miliardi di euro e con la legge anticorruzione del 2012, inoltre, l’Italia si è allineata agli standard internazionali.

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