Analisi

Memoria digitale e diritto all’oblio

Una recente sentenza della Corte di giustizia europea consente di richiedere la rimozione dalla rete delle informazioni che riguardano un singolo individuo. Ma il desiderio di “dimenticare ed essere dimenticati” contrasta con l’esigenza di preservare la memoria e la libertà di informazione, e non deve essere interpretato come il diritto di nascondere ciò che non ci aggrada del nostro passato: un equilibrio difficile

16 Gen 2015

Graziano Garrisi, digital & Law DepartmentLa pratica della conservazione da parte di un singolo individuo, un gruppo sociale o un’istituzione di elementi legati all’identità personale o collettiva, è da sempre connessa alla consapevolezza del trascorrere del tempo storico e alla necessità di preservare la memoria dall’usura del tempo.

Il processo educativo è per esempio una delle principali applicazioni della necessità di conservare, in quanto si configura come trasmettere e diffondere un sapere a un ampio numero di soggetti.

L’apprendimento della propria cultura è sempre sostenuto dalla necessità di trasferire la memoria collettiva alle nuove generazioni; spesso parlando della storia e del passato ci si scontra su questioni di autenticità o revisionismo, ma non è mai stata messa in dubbio l’importanza di tenere costantemente traccia delle questioni nodali che possono, attraverso la memoria storica, fungere da esempio e insegnamento per il tempo futuro.

La rivoluzione digitale ha enormemente aumentato le capacità di archiviazione (storage), categorizzazione (classification), interpretazione (elaboration) e presentazione di qualsiasi documento o dato materiale e/o immateriale. Questo comporta un’ulteriore riflessione filosofica, soprattutto nel momento in cui, attraverso il concetto di memoria digitale, subentra anche quello di diritto all’oblio.

In seguito alla sentenza della Corte di giustizia europea che garantisce, appunto, il diritto all’oblio, Google ha ricevuto oltre novantamila domande di rimozione, anche di alcuni link alle voci di Wikipedia. Ma come si possono conciliare il diritto all’oblio, il diritto all’informazione e il diritto a una memoria digitale affidabile nel tempo?

L’identità personale

L’interesse della giurisprudenza si è rivolto in un primo momento verso la tutela dell’identità personale, diritto della personalità dal quale muove i passi il diritto all’oblio. Quando si invoca la tutela del diritto all’oblio si richiede che la propria identità personale sia conforme alla realtà, ossia che ci sia corrispondenza tra l’identità di una persona, intesa in senso ampio come patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, professionale di un individuo, e quello che di essa viene percepito dalla società, in osservanza della caratteristica di dinamicità che contraddistingue tale diritto.

Il concetto di identità personale viene affiancato all’idea di proteggere la persona nella sua dimensione attiva, nelle sue relazioni sociali, dandole la possibilità di distinguersi dagli altri per mezzo di criteri sicuri che ne rispecchino il più fedelmente possibile la personalità.

Il diritto all’oblio, anch’esso di origine giurisprudenziale, muove da questa nozione, profilandosi come una traslazione del diritto all’identità personale che tutela l’identità attuale di un individuo.

Tramite il diritto all’oblio è data a un soggetto la possibilità di estendere tale tutela anche al passato, difendendo la sua identità personale anche quando episodi appartenenti alla sua vita trascorsa incidano negativamente su quella presente. Il diritto all’oblio, che rimane indissolubilmente legato al diritto di cronaca, accresce esponenzialmente la sua rilevanza con lo sviluppo della Rete e in particolare con la conseguente digitalizzazione dell’archivio storico cartaceo di gran parte dei quotidiani.

La causa è facile a dedursi: la capacità della Rete, superiore a qualunque altro mezzo di comunicazione fino a questo momento utilizzato, di diffondere le informazioni e conservarle a lungo, impedendo gli effetti di “erosione” che il trascorrere del tempo normalmente produrrebbe sulla memoria umana.

Attraverso Internet, la circolazione di una data informazione sfugge sia al controllo del soggetto protagonista della notizia sia a quello di colui che l’ha pubblicata. Pubblicare sul web un archivio storico significa, in seguito all’attività di indicizzazione del motore di ricerca, riportare a galla notizie e fatti del passato, rendendoli conoscibili a chiunque e in qualsiasi momento.

Ma perché il diritto all’oblio non venga, erroneamente, interpretato come il diritto tramite il quale nascondere ciò che non ci aggrada del nostro passato e lasciare di dominio pubblico tutto quello che riteniamo possa essere utilmente collegato alla nostra persona – ovvero come un diritto arbitrario – sono previsti dei limiti, con il fine di evitare che la tutela di questo diritto non ne leda poi altri, uno fra tutti il diritto di libera manifestazione del pensiero.

A tal fine, le informazioni già lecitamente divulgate non possono essere oggetto di nuova pubblicazione quando:

  • sia trascorso un considerevole lasso di tempo dal verificarsi dell’avvenimento;
  • non siano accaduti dei fatti che rendano nuovamente attuale l’informazione;
  • non sussistano dei requisiti di interesse pubblico o rilevanza storica alla conservazione dell’articolo.

Gli obblighi di Google

Una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014, si è pronunciata sulla responsabilità del gestore di un motore di ricerca su internet per il trattamento da questo effettuato sui dati personali, diffusi in pagine web pubblicate da terzi. In questo caso il gestore del motore di ricerca sarebbe il responsabile di tale trattamento, in quanto le finalità e gli strumenti del trattamento sono da quest’ultimo stabiliti e organizzati.

Ai sensi di quanto disposto, il gestore è obbligato a eliminare dai risultati che compaiono in seguito alla digitazione del nome di una persona sul motore di ricerca i link che rimandano a pagine web pubblicate da terzi e che ospitano informazioni sul soggetto in questione, anche se la loro pubblicazione è avvenuta lecitamente.

Tali informazioni, infatti, potrebbero riguardare aspetti privati che sarebbero rimasti tali senza l’attività svolta dal motore di ricerca che invece li ha messi alla mercé degli utenti della rete. In seguito a questa sentenza i Garanti UE, nella riunione di Bruxelles del 16 e 17 settembre 2014, hanno deciso di stabilire dei criteri comuni per mezzo dei quali gestire i ricorsi e i reclami presentati da quegli utenti che, alla loro richiesta di de-indicizzazione, si sono visti opporre un rifiuto da Google.

Vista la quantità di ricorsi ricevuti dalle Autorità, quest’ultime hanno sottolineato la necessità che i motori di ricerca adempiano agli obblighi derivanti dalla sentenza della Corte europea e, al fine di for nire una tutela più completa, hanno progettato la creazione sia di una rete di “punti di contatto” che consenta un continuo scambio di informazioni sia di una “tool box” di criteri comuni, atta a “garantire un approccio coordinato nella gestione dei ricorsi e reclami presentati da utenti non soddisfatti della risposta fornita dai motori di ricerca”.

Inoltre le decisioni assunte sui ricorsi e reclami sono inserite in un apposito database condiviso e analizzate secondo uno schema che permette di far venire alla luce le analogie o le differenze nelle singole valutazioni, soluzione molto utile specialmente nei casi più complessi o che presentano aspetti mai incontrati prima. Sono inoltre previsti incontri con i rappresentanti dei motori di ricerca, degli editori e dei media online per monitorare le questioni relative alla fase di attuazione della sentenza.

La libertà di informazione

In linea generale bisogna però sforzarsi di effettuare un bilanciamento tra l’interesse di una persona a tutelare la propria vita privata e l’interesse in capo agli utenti di internet di informarsi, secondo quanto garantito dalla libertà di informazione.Pertanto, per sciogliere questo contrasto e decidere quale interesse debba prevalere è necessario considerare di volta in volta la natura dell’informazione, il grado di sensibilità di questa e l’interesse pubblico alla ricezione della notizia che può sussistere o meno, ad esempio a seconda che il soggetto abbia ricoperto in passato un ruolo pubblico che rende interessante per i consociati l’acquisizione delle informazioni a lui ricollegate.

L’interessato può richiedere direttamente al gestore del motore di ricerca la cancellazione, dall’elenco risultante dalla ricerca fatta a partire dal nome di una persona, di informazioni e dati inadeguati, non pertinenti, non più pertinenti oppure eccessivi rispetto alle finalità per le quali sono stati trattati e al tempo trascorso, eccetto che esistano delle motivazioni che legittimino un interesse pubblico all’acquisizione dell’informazione.

Allo stato attuale, pertanto, se il titolare o il responsabile del trattamento eventualmente designato non dovessero procedere a valutare la fondatezza di tali pretese, la persona interessata potrà rivolgersi all’autorità di controllo o all’autorità giudiziaria in modo che vengano svolte le dovute verifiche e, se necessario, venga obbligato il titolare o il responsabile a compiere quanto prescritto.

A seguito di questa sentenza particolarmente discussa, numerosissime sono state le richieste al gestore del motore di ricerca per la cancellazione di tracce indesiderate di vita passata sparse nel web.

Infine, a livello nazionale, il tema del diritto all’oblio è stato affrontato anche con riferimento al settore pubblico, in quanto l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha emanato di recente il provvedimento generale “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati”, col quale ha introdotto specifici obblighi in capo alle PPAA, finalizzati a prevenire l’illegittima diffusione sul web dei dati dei cittadini e dei dipendenti pubblici, con specifico riferimento anche alla tutela del diritto all’oblio.

In tal senso, consigli molto utili sono stati forniti in relazione alla reperibilità dei dati mediante i motori di ricerca esterni o “generalisti”: per garantire la conoscibilità dei dati senza che essi vengano estrapolati dal contesto nei quali sono inseriti, infatti, l’Autorità Garante raccomanda di non consentire l’indicizzazione e la facile rintracciabilità degli stessi attraverso i comuni motori di ricerca generalisti (es. Google), anche mediante un’attività di deindicizzazione che consiste:

  • nell’inserimento di metatag noindex e noarchive nelle intestazioni delle pagine web;
  • nella codifica di regole di esclusione all’interno di uno specifico file di testo (file robots.txt) posto sul server che ospita il sito web configurato in accordo al Robot Exclusion Protocol;
  • nella rimozione di determinati contenuti, anche in maniera automatizzata, mediante l’utilizzo di sistemi di web publishing e Cms – Content management systems – in grado di attribuire, anche mediante l’utilizzo di parole chiave, un intervallo temporale di permanenza della documentazione all’interno del sito istituzionale.

A causa della vasta diffusione delle tecnologie digitali in organizzazioni pubbliche e private, i concetti di “logical presevation” e di “bit preservation” potrebbero in alcuni casi essere in contrasto con il diritto all’oblio degli interessati.

La ricerca del giusto bilanciamento di interessi potrebbe essere quindi la chiave interpretativa e risolutiva di questa problematica, ma tale attività non è sempre facile da perseguire, perché gli interessi in gioco sono spesso contrastanti. Si potrebbe affermare, quindi, che il diritto all’oblio consente al presente e al futuro di una persona di essere immuni alle ripercussioni negative del suo passato.

Però, perché la memoria sia salva e le libertà fondamentali altrui tutelate, è doverosa, nonché giusta, una verifica dell’esistenza in concreto delle condizioni che legittimano la presenza del diritto “a dimenticare e a essere dimenticati”.

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