Le opportunità dell'economia digitale

La società che aiuta il Made in Italy ad andare online

La storia di Brandon Ferrari, fondata da una giovane manager italiana, Paola Marzario, che sta avendo una crescita rapidissima. «Molti pensano che basti aprire un sito eCommerce per vendere all’estero. Ma bisogna dare visibilità in maniera corretta ai prodotti. E purtroppo le aziende non lo sanno fare»

06 Nov 2014

Paola Marzario, fondatrice di Brandon Ferrari«Chiuderemo il 2014 con 4 milioni di euro di fatturato, contro i 2,7 del 2013. Da gennaio avremo una piattaforma che finalmente automatizzerà i processi, ora manuali, permettendoci di valorizzare con più forza il made in Italy online…». Paola Marzario, bocconiana di 35 anni, ha ancora progetti di espansione per la sua Brandon Ferrari, che con i numeri di quest’anno entrerà nella top 10 delle startup milionarie d’Italia.

È un distributore digitale online di prodotti del fashion, design e food, con sede a Milano. Brandon Ferrari compra uno stock di prodotti da una sessantina di brand affiliati e poi li rivende (con un margine di guadagno) ad aziende (di qualsiasi dimensione) che vogliono fare e-commerce. Al momento ha un’ottantina di clienti. Ma non è un semplice lavoro da grossisti: la startup assiste passo passo nella vendita online.

Come si spiega questa vostra rapida crescita?

Abbiamo colto un’esigenza forte del mercato. Quando lavoravo in Best Union (ex Pavarotti & Friends) contattavo le aziende per mettere i prodotti online e mi sono resa conto di fare una grande fatica. Le aziende erano restie: mi chiedevano minimi garantiti, non volevano darmi le foto, le descrizioni eccetera. Insomma le aziende non erano assolutamente preparate alla sfida dell’online. E ho pensato: se ci fosse stato un distributore in grado di darmi tutte queste cose, non avrei avuto problemi. E’ quello che ho creato: un distributore digitale per l’e-commerce.

E come funziona?

Supponiamo che lei abbia una pagina Facebook e vuole vendere prodotti, magari delle agende. Contatta Moleskine- nostro fornitore-, che a sua volta si rivolge a noi. Verifichiamo il sito, se c’è un giusto posizionamento, e in caso affermativo l’assistiamo nel processo di vendita. Parte un “conto vendita”: il sito ci dice quanti prodotti intende vendere e noi blocchiamo quella quantità in magazzino. I siti quindi non sono obbligati a comprare in anticipo, ma solo sul venduto. Di conseguenza, possono offrire molti prodotti. I fornitori non erano preparati a gestire un processo del genere. Noi ci occupiamo di tutto: foto dei prodotti, descrizioni; abbiamo un nostro magazzino per il conto deposito. A volte facciamo anche produzioni ad hoc per l’online. Moleskine ha tanti prodotti, tra cui anche cofanetti con tre o quattro quaderni; adesso stanno andando fuori catalogo perché occupano molto spazio in una libreria tradizionale. Online però stanno diventando prodotti best seller. In certi casi, il catalogo di partenza è del tutto inadeguato all’offerta online: ci sono vestiti con tagli vendibili solo in Italia, per esempio. Dobbiamo lavorare anche su questi aspetti per guidare l’azienda online.

Ma questa formula non ha analoghi?

Facciamo accordi di distribuzione di quattro anni con i brand, facciamo anche comunicazione su di loro. I nostri concorrenti fanno qualcosa di diverso: sono agenti che lavorano con compravendita di stock. A differenza nostra, insomma, non hanno rapporti continuativi con i brand.

Voi vendete brand internazionali a siti che per l’80 per cento sono stranieri.

I brand sono quasi tutti italiani, in verità, da grandi aziende a pmi, che aiutiamo nell’esportazione. Ma anche quando non abbiamo prodotti italiani, mettiamo l’italianità nell’offerta. Nel selezionarli e nel modo di presentarli al pubblico. Abbiamo inoltre aiutato aziende italiane in difficoltà, al punto che hanno poi deciso di abbandonare le vendite fisiche e focalizzarsi tutto sull’online: è capitato con Crespi, che fa profumatori d’ambiente. Abbiamo creato un gruppo di produttori napoletani di vestiti, con cui abbiamo ideato un brand (Les Sophistiquées), e l’abbiamo messo online qualche giorno fa. In 24 ore abbiamo venduto 3 mila pezzi.

Prossimi passi?

Finora abbiamo gestito manualmente il processo, che diventerà però automatizzato da gennaio con una nuova piattaforma. I venditori potranno accedervi, con un account, e scegliere i prodotti. Importeranno descrizioni e quantità sul proprio sito. Poi comunicheranno le vendite che hanno fatto e di conseguenza gli acquisti. Sceglieranno infine se dobbiamo spedire i prodotti al sito o direttamente al cliente. Altra novità: a giugno 2015 faremo un round di finanziamento per fare altri investimenti in logistica, internazionalizzazione e sviluppo della piattaforma. Apriremo tre hub in Sud America e Cina, con un magazzino, e una sede a Napoli.

Bene. Ma i profitti, quando li farete?

Non chiuderemo in profitto il 2014, ma a ottobre abbiamo segnato il nostro primo attivo. Nel 2015 invece ci concentreremo sugli investimenti, come detto.

Riassumendo: dalla vostra esperienza, com’è possibile sviluppare l’offerta e-commerce italiana?

Bisogna dare visibilità in maniera corretta, ai prodotti. E purtroppo le aziende non lo sanno fare. Pensano che basti sito e-commerce per aprirsi alle vendite all’estero. Addirittura alcune considerano internet come il cestino della spazzatura: vi mettono solo i prodotti vecchi e quelli che non cannibalizzano i loro negozi fisici. Ma se la collezione è brutta, com’è possibile esportarla all’estero? E’ l’approccio culturale che è sbagliato. E poi bisogna studiare strategie di marketing e di comunicazione, lavorando sui singoli mercati dove si vuole vendere. Sono tutte cose che facciamo noi, per conto dei siti.

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