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Circular economy, come rendere l'intera supply chain sostenibile

A colloquio con Eleonora Rizzuto, Presidente di AISEC (Associazione Italiana per lo Sviluppo dell’Economia Circolare), per comprendere come implementare concretamente un modello eco-compatibile su tutti gli elementi della catena del valore, senza traumi per l’organizzazione, e neanche per la struttura di costi

06 Nov 2017

I consumatori sono sempre più attenti agli aspetti etici ed ecologici della produzione di beni e servizi. Il consumo etico va di moda: nella cosmesi, le beauty company che non compiono test sugli animali sono premiate con fatturati in crescita; le catene dei prodotti “bio” spopolano e fanno gola ai colossi dell’eCommerce, come dimostra l’acquisizione, lo scorso giugno, dell’americana Whole Foods da parte di Amazon. E poi sono sempre più numerose le realtà che pubblicano il proprio Bilancio di Sostenibilità, spinti anche dalla legge 254/2016 sull’obbligo di informazioni “non finanziarie” in bilancio: in Italia, Poste Italiane e Brembo, ma anche colossi dell’industria pesante come ABB e utility come ENEL e A2A, si affiancano a nomi del Made in Italy come Ferragamo e Barilla.

Un concetto, quello di un’economia più sostenibile, che negli ultimi anni va a braccetto con quello di economia circolare (circular economy). La circular economy è un modello economico progettato per auto-rigenerarsi: i materiali biologici devono essere reimmessi in natura e quelli di origine tecnica dovranno essere progettati per erogare il massimo valore possibile prima dello smaltimento.

Le basi della circular economy: il cross procurement

Anche in Italia questo approccio a una produzione più responsabile e rispettosa dell’ambiente inizia a farsi strada. «Indicatori di circolarità, come il tasso di Circular economy (Fonte: IEFE Università Bocconi)innovazione, il riciclo dei rifiuti, l’LCA (Life Cycle Assessment, che valuta il numero e la qualità di interazioni tra un prodotto e l’ambiente – ndr) cominciano a comparire all’interno dei bilanci etici delle grandi aziende. Ma molto rimane ancora da fare…», spiega Eleonora Rizzuto, Presidente di AISEC (Associazione Italiana per lo Sviluppo dell’Economia Circolare). «Esistono sperimentazioni di procurement incrociati dove gli scarti di metalli preziosi dell’industria dentaria sono reimmessi nella produzione di componenti altamente tecnologici nell’automotive e nell’elettronica di consumo, consentendo uno sfruttamento meno intensivo delle miniere private. Lo stesso dicasi per i fondi di caffè utilizzati come fertilizzante in sostituzione dei prodotti chimici nelle fungaie orobiche. A Treviso, l’italiana Fater ha creato il primo impianto al mondo in grado di riciclare al 100% i pannolini per bambini e gli esempi di aziende virtuose cominciano a essere numerosi anche nel Belpaese», prosegue.

La sensibilità sul tema c’è e le best practice vengono pubblicizzate anche se, puntualizza Rizzuto «l’economia circolare nell’edilizia è diversa da quella nella cosmesi. Mi sento, però, di dare tre consigli alle aziende che decidono di imboccare la strada della circular economy. Fare un assessment dei processi, per capire come funziona la produzione e dove si manifestano gli sprechi, comprendere meglio i processi di filiera, il procurement… In seconda battuta, approcciarsi all’eco-design, quindi progettare nativamente i prodotti perché siano eco-sostenibili e riciclabili fino a esprimere il massimo del loro valore. Infine, avere un occhio di riguardo per la sostenibilità economica di queste iniziative, che deve andare di pari passo con quella ambientale».

Esistono diversi esempi che le aziende italiane possono seguire se intendono imboccare la strada verso una vera e propria economia circolare, agendo lungo tutti gli elementi fondanti di questo approccio: materie prime, progettazione, produzione, distribuzione, consumo, raccolta e riciclo.

Materie prime, progettazione, produzione e distribuzione

Eleonora Rizzuto, Presidente di AISEC (Associazione Italiana per lo Sviluppo dell’Economia Circolare)La prima area sulla quale si può intervenire è quella degli approvvigionamenti di materie prime, scardinando le tradizionali regole del procurement in favore di un maggior riuso. Un caso interessante citato dal Rapporto GEO (Green Economy Observatory) dello IEFE (Istituto di Economia e Politica dell’Energia e dell’Ambiente) dell’Università Bocconi è quello del calcestruzzo, ampiamente impiegato nel settore delle costruzioni. Ogni anno, nel mondo, ne vengono prodotti 10 miliardi di metri cubi, con uno scarto medio (il cosiddetto “reso”) del 5% negli Stati Uniti e del 2% in Europa, rappresentato dai residui che rimangono sul fondo delle betoniere oppure dalla produzione non conforme. In Italia, Mapei ha sviluppato RE-CON Zero, un additivo che trasforma il reso in un materiale granulare che potrà essere riutilizzato come aggregante nella produzione di nuovo calcestruzzo. Azzerati scarti e rifiuti, l’aggregante così prodotto ha anche il vantaggio di ridurre il consumo di aggreganti di derivazione naturale.

Passando alla seconda fase, sarà possibile intervenire efficacemente anche sulla progettazione dei prodotti (design), in modo che gli stessi siano in grado di esprimere il più ampio valore durante la loro vita utile. Proprio come fa da tempo il colosso dell’automazione industriale ABB con il suo ABB Gate Model, un insieme di procedure per lo sviluppo prodotti che è stato arricchito negli ultimi anni con tutta una serie di criteri di sostenibilità – checklist ambientali, riciclabilità dei materiali, efficienza energetica… La società ha coinvolto tutto l’organigramma aziendale mettendo a disposizione sulla Intranet un “sustainability toolbox” contenente l’indicazione di tutti gli aspetti da tenere in considerazione per attuare un approccio circolare nello sviluppo dei nuovi prodotti.

Anche il noto produttore di birra Carlsberg lavora da tempo su queste tematiche, investendo in particolare sulla produzione di un packaging più “green”. La strategia Sustainable Packaging di Carlsberg si fonda sul noto approccio craddle-to-craddle (dalla culla alla culla, uno dei cardini della circular economy) e promuove la collaborazione fattiva dei fornitori su queste tematiche attraverso la piattaforma web Carlsberg Circular Community.

Risultati evidenti si potranno ottenere razionalizzando e rendendo più circolare anche la distribuzione. Philips, per esempio, ha implementato la tracciabilità relativa a raccolta e riciclo delle sue lampadine a mercurio in Europa, con risultati incoraggianti: circa il 40% di lampadine raccolte e riciclate a un tasso medio del 95%.

Consumo, raccolta e riciclo

Nella fase del consumo, uno degli esempi più eclatanti di approccio circolare è quello di IKEA, che periodicamente promuove la compravendita di mobili usati, o Decathlon con il suo Trocathlon. A promuovere nuovi modelli di consumo più sostenibili, collaborativi e circolari sono, però, anche tutte le realtà che operano nella cosiddetta “sharing economy”, da Uber ad Airbnb.

Anche nella fase di raccolta sarà possibile ottenere benefici ambientali consistenti, come fanno i produttori di pneumatici e i gommisti italiani aderenti alla filiera Ecopneus. Quest’ultima promuove il riciclo dei cosiddetti “pneumatici fuori uso” (PFU) – circa mille tonnellate quelle recuperate quotidianamente – e la loro conversione in campi da calcio sintetici, strade con manto gommato e isolanti acustici.

Infine, grande enfasi potrà essere posta sulla fase finale del circolo economico, il riciclo. Come ha da tempo iniziato a fare Feralpi in collaborazione con Federacciai, cercando di trasformare quelli che un tempo erano considerati semplici scarti dell’industria pesante da smaltire (scorie da convertitori e forni, loppa di altoforno) in risorse da reimmettere nel processo produttivo. Gli aggregati di origine siderurgica sono, così, trasformati in sottofondi stradali e la loppa utilizzata come base per la produzione del cemento.

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