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Chris Anderson: «Con il digitale, anche il manufacturing diventa fai-da-te»

Dopo il best seller “The Long Tail”, lo scrittore si è concentrato nel suo ultimo libro sul fenomeno dei “maker”, apripista di una nuova rivoluzione industriale in cui ciascuno presto potrà progettare un prodotto, stampare in 3D il prototipo, e farlo fabbricare in volumi di massa tramite servizi cloud. Un fenomeno che l’ex direttore di Wired sta vivendo direttamente, visto che ha fondato e dirige un’azienda che produce droni

28 Apr 2014

Chris Anderson, imprenditore, saggista e giornalistaGià direttore di Wired Magazine dal 2001 al 2012, e autore del best seller “The Long Tail”, Chris Anderson è uno dei più ascoltati esperti degli impatti delle tecnologie avanzate sull’economia. Nel 2012 ha pubblicato “Makers: The New Industrial Revolution”, i cui temi sono stati al centro del suo intervento al World Business Forum 2013 di Milano, di cui qui riportiamo una sintesi.

Negli anni ‘50 la trasmissione broadcast di radio e TV ha dato origine a un modo nuovo per raggiungere le persone e comunicare con loro: sono nati così i “mass media”, e i contenuti indifferenziati pensati per il consumatore medio. Alla fine del 20° secolo però l’evoluzione tecnologica ha messo in forte crisi questo modello, dimostrando che non siamo un’unica massa, non esiste un consumatore medio, e ognuno ha una sua identità e propri gusti.

Un esempio è YouTube: ciascuno di voi può girare un video, postarlo e conquistare potenzialmente milioni di spettatori, e viceversa trovare filmati anche sugli interessi più ristretti e specialistici. Questo è ciò che definisco “The Long Tail”, una sorta di onda lunga nei consumi influenzata da due fattori principali: l’aumento della disponibilità di qualcosa e la diminuzione dei costi di ricerca di quella cosa. Abbassare i costi di creazione/distribuzione vuol dire offrire più varietà, e questo a sua volta significa soddisfare gusti e preferenze di un maggior numero di persone, e quindi delle nicchie di domanda, che assicurano margini più alti della media.

La stampa 3D cambierà le vite dei nostri figli
Tutto questo si deve all’evoluzione tecnologica, che sta aprendo la strada a un’imminente nuova rivoluzione industriale. La prima è stata legata alla meccanica, alla catena di montaggio e alla produzione di massa, e ha avuto un impatto anche sull’aspettativa di vita delle persone che è fortemente aumentata. Le fabbriche hanno infatti spinto le persone a spostarsi dalle campagne alle città, il cui aumento della popolazione ha reso necessaria la costruzione di infrastrutture (acquedotti, fognature, reti elettriche e di trasporto) che hanno migliorato la qualità della vita.

La seconda rivoluzione invece è stata digitale: la diffusione di pc, stampanti, internet, ha “democratizzato” gli strumenti di creazione dell’informazione. Con il web l’atto industriale della stampa è stato sostituito dal clic sul tasto del browser. Tutti lo possono fare, liberando la ricchezza e la diversità della creatività e raggiungendo potenzialmente più persone di una casa editrice. Infine è arrivata la terza rivoluzione industriale, che combina digitale e meccanico e introduce la rivoluzione delle stampanti 3D. L’avvento del pc ha cambiato le nostre vite: la stampante 3D lo farà con quelle dei nostri figli, perché quello che immaginano potrà essere concretizzato subito.

Se uniamo le potenzialità della stampante 3D con quelle del web, possiamo davvero realizzare qualunque cosa, e dare forma a un’idea di qualcuno dall’altra parte del mondo semplicemente ricevendo il suo file e stampandolo a casa nostra. Questo è ciò che si chiama “cloud manufacturing”.

Anche la creatività è stata rivoluzionata. Prima si creava da soli nei propri garage o ci si riuniva in piccoli gruppi per raccogliere le idee, adesso lo possiamo fare assieme in grandi comunità sul web. Oggi anche le persone comuni possono riuscire: non serve avere grandi mezzi, bastano grandi idee. Oggi con una app per smartphone possiamo fotografare la realtà, caricare le immagini sul cloud e inviarle a una stampante 3D che può ristampare in qualunque colore o dimensione o materiale l’oggetto che abbiamo fotografato. E se oggi questo tecnicamente riguarda solo l’involucro degli oggetti, domani sarà possibile anche per la parte meccanica interna: potremo fare ogni cosa in autonomia, potremmo riprodurre e modificare la realtà.

Riassumendo la storia degli ultimi vent’anni abbiamo quindi due fasi: il decennio passato è servito a cercare nuovi modelli sociali e innovativi sul web, mentre i prossimi dieci anni serviranno a tradurli nel mondo reale.

«Cosa insegna l’esperienza di mio nonno»
Insomma, se fino a pochi anni fa la rivoluzione digitale era confinata agli schermi dei computer, oggi ci permette di fabbricare oggetti reali. Oggi sul nostro tavolo da lavoro possiamo avere strumenti che prima erano accessibili solo con grandi capitali – stampanti 3D, programmi CAD, piccole schede di controllo “open source” come Arduino, che è stata inventata in Italia -, e accedere alla conoscenza di migliaia di persone nelle comunità web, scambiando pareri e consigli. In questo modo possiamo per esempio fabbricare un prototipo di un drone quando pochi giorni prima non sapevamo niente di droni: molti definiscono tutto questo la rivoluzione dei “maker”.

Ma si può anche chiudere il cerchio, passando dal “digital prototyping” al “digital manufacturing”, grazie al cloud computing. Negli ultimi anni sono comparsi dei marketplace online, come Alibaba in Cina e MFG.com negli USA, che mettono in contatto i singoli maker con fabbriche che accettano ordini da chiunque, e sulla base del progetto che gli si manda possono produrre migliaia di pezzi.

Tutto questo l’ho provato direttamente. Ho scritto il libro “Makers” anche sulla base della mia esperienza personale. Sono partito da quanto è successo a mio nonno. Era tecnico degli effetti sonori a Hollywood, ma il suo hobby era il fai-da-te, e così un giorno, negli anni ’40, è arrivato a mettere a punto il prototipo di un ingegnoso sistema di irrigazione automatica per giardini. A questo punto però non ha potuto far altro che brevettare la sia invenzione, e sperare. Ha iniziato a girare fino a quando ha trovato un’azienda che ha comprato il suo brevetto, e ha prodotto in massa il suo sistema di irrigazione, rendendolo ricco.

Mio nonno però è stato uno dei pochi fortunati. A quei tempi, e fino a pochi anni fa, a un inventore era completamente precluso il passaggio alla produzione di massa e alla distribuzione, a meno di non disporre di grossi capitali e mettere su un’azienda diventando imprenditore. Molti, per questo, hanno visto vanificate le loro idee.

«Un hobby che è diventato il mio lavoro»
Così qualche anno fa, per toccare con mano come il digitale ha cambiato le cose, e capire direttamente questo movimento dei maker di cui iniziavo a sentir parlare, ho deciso di provare a fare la stessa cosa che ha fatto mio nonno. Sono andato a qualche evento, ho parlato con persone appassionate dell’argomento e mi sono studiato cosa si diceva sulle web community, e sono riuscito a costruire un sistema di irrigazione, che si chiama OpenSprinkler: è controllato da una scheda Arduino e può connettersi in rete, accedendo per esempio a siti di previsioni meteo per capire quando avviarsi automaticamente. E’ stato facile, non ho avuto bisogno di fare brevetti, e se volessi produrlo in massa potrei mettermi in contatto con qualche fabbrica via internet.

Insomma, rispetto ai tempi di mio nonno il gap tra invenzione e produzione di massa non esiste più. Se ho potuto farlo io, può farlo chiunque.

Il passo successivo l’ho fatto un giorno in cui insieme ai miei figli ho montato un modellino di aereo, che continuava a schiantarsi contro gli alberi. Come potevo farmi perdonare come padre di questo “fallimento”? Ho pensato a tutta la tecnologia che c’è dentro uno smartphone: sensori, GPS, wireless, memoria. C’è tutto ciò che serve per pilotare un oggetto, e ora questi componenti sono alla portata di tutti: non per niente una delle tipologie di oggetti più amati dai maker sono i droni. Così ho deciso di creare una community online che parlasse di droni, e l’ho chiamato “DIY Drones”.

Cinque anni dopo, DIY Drones ha 45mila utenti registrati, due milioni di page view al mese e 100mila commenti all’anno. Non solo: attraverso DIY Drones ho conosciuto Jordi Munoz, con cui ho co-fondato 3D Robotics, un’azienda che produce droni per usi civili. Ho iniziato confezionando i prodotti in casa insieme ai miei figli, mentre ora 3D Robotics ha 150 dipendenti e due stabilimenti: da hobby, è diventato il mio lavoro principale (vedi BOX «Droni, imminenti gli utilizzi commerciali»).

Micro-manufacturing, italiani in prima fila
Che cosa significa tutto questo? Il mio libro ha come sottotitolo “The New Industrial Revolution” perché quello di cui ho parlato finora può cambiare la produzione industriale di massa, proprio come il web ha cambiato i mass media. Oggi grazie al digitale anche una sola persona può padroneggiare tutte le fasi del ciclo di sviluppo e fabbricazione di un nuovo prodotto. O se vuole, può creare un’impresa senza ricorrere a banche e venture capital, grazie al crowdfunding, a realtà come Kickstarter e Quirky. E proporre i suoi prodotti a tutto il mondo attraverso piattaforme come Etsy, che fanno incontrare offerta e domanda di nicchie anche piccolissime.

Nei prossimi dieci anni, quindi, grazie alla progettazione open source e alla produzione fai-da-te, milioni di micro-manifatture faranno ripartire l’economia globale. E voi italiani, con il vostro talento per il design, e lo spirito imprenditoriale dimostrato dal gran numero di piccole e medie imprese, potete essere in prima fila: non è un caso che Arduino sia nato qui.

*****DA SAPERE*****

«Droni, imminenti gli utilizzi commerciali»
Chris Anderson ha rinunciato al ruolo di Editor-in-Chief di Wired, una delle riviste di tecnologia più celebrate nel mondo, per dirigere 3D Robotics, azienda che produce droni (velivoli senza pilota) e che ha co-fondato nel 2009. Tutto è iniziato dalla passione per gli aerei telecomandati, che ha condotto Anderson a creare DIY Drones, un forum online sviluppato in un weekend e poi diventato la più grande comunità open source per i fan dei droni, gli aerei senza equipaggio. Su DIY Drones, Anderson ha conosciuto Jordi Muñoz, il cofondatore di 3D Robotics, un programmatore messicano all’epoca appena ventunenne. 3D Robotics sviluppa tecnologie di pilotaggio automatico e piccoli aerei ed elicotteri multirotore che volano da soli e vengono guidati per scattare foto e girare video. La ricerca e sviluppo è a San Diego, il montaggio a Tijuana, in Messico ma a soli 20 minuti di distanza. L’azienda piace ai venture capital, avendo riscosso 35 milioni di dollari di finanziamenti in varie tranche. Secondo Anderson, presto i droni verranno usati da un’ampia gamma di settori, da TV e compagnie cinematografiche alle forze dell’ordine, dalle imprese di trasporto a quelle agricole. «10 anni fa, i droni erano tecnologie militari costosissime e spesso secretate: oggi sono alla portata di tutti. La Federal Aviation Administration è stata incaricata dal Governo USA di definire un Regolamento per i loro usi commerciali, e stima che per il 2020 nei soli cieli statunitensi ce ne saranno oltre 30mila di aziende pubbliche e private, senza contare quelli delle singole persone».

*****DA SAPERE*****


Chi è Chris Anderson
Chris Anderson è diventato famoso come Editor in Chief di Wired Magazine, che ha diretto dal 2001 al 2012, ottenendo molti premi sia per la rivista (“Magazine of the Decade” da AdWeek nel 2009), sia personalmente (Time l’ha inserito nei “100 most influential people in the world” nel 2007). In precedenza aveva lavorato per le riviste Nature e Science, e dal 1994 al 2001 per The Economist, di cui è stato inviato a Londra e Hong Kong, e US Business Editor a New York. Nel 2004 ha scritto il best seller “The Long Tail”, sull’importanza economica delle nicchie di domanda, e nel 2009 “Free”, sui modelli di business basati sull’offerta gratuita di prodotti e servizi, mentre “Makers: The New Industrial Revolution”, di cui si parla nell’articolo a fianco, è del 2012. Nel novembre 2012 Anderson ha lasciato Wired per dedicarsi a tempo pieno a 3D Robotics, impresa specializzata nella produzione di droni, che ha fondato nel 2009 e di cui è CEO. Vive a Berkeley, California, con la moglie e cinque figli.

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