EDITORIALE

AT&T-Time Warner, la sfida dell'integrazione e il brutto ricordo di AOL

La più grande Telco al mondo per ricavi mette sul piatto 85,4 miliardi di dollari per avere accesso ai contenuti e contrastare così lo strapotere degli OTT. Un’operazione che ricorda il passato, quando America On Line si fuse con la media company. Con risultati fallimentari. L’analisi di Umberto Bertelè

24 Ott 2016

@umbertobertele

Umberto Bertelè, professore emerito al Politecnico di Milano, è autore di “Strategia”, edizioni Egea, disponibile in questi giorni nella seconda edizione, focalizzata sulla trasformazione digitale. A questo link è disponibile un e-book in pdf, realizzato in occasione dell’uscita del nuovo libro, che raccoglie le riflessioni pubblicate nell’arco di quasi 7 anni su Digital4Executive.

Non è la prima volta che Time Warner è protagonista di un’operazione di M&A. Gli 85,4 miliardi di dollari messi sul tavolo da AT&T per acquisirla sono circa la metà del valore che le fu attribuito – poco prima dello scoppio della bolla Internet – in occasione della fusione fra il 2000 e il 2001 con AOL-America On Line: il più grande merger della storia (350 miliardi il valore combinato delle due società), ma anche uno di quelli più studiati nelle business school per l’esito fallimentare.

L’obiettivo del merger di allora era in parte simile a quello dell’acquisizione di oggi. AOL, all’epoca società leader per l’accesso a Internet con una capitalizzazione che arrivò vicina ai 230 miliardi di dollari, era interessata a Time Warner per la possibilità di integrarsi sia a monte sia a valle: a monte per i cavi di cui essa disponeva; a valle per i contenuti, per la sua forte presenza nei film e nella televisione. I cavi ora non ci sono più, perché scorporati nel 2009 con la quotazione separata della TWC-Time Warner Cable (acquisita lo scorso anno dalla Charter Communications per 78,7 miliardi di dollari), ma i contenuti sì. E sono i contenuti l’oggetto del desiderio di AT&T, la motivazione – come lo ha definito il suo CEO – del “vertical merger”. Se gli obiettivi sono almeno in parte simili, quali sono le condizioni per un esito più favorevole?

Un po’ di storia. Le fortune di AOL, parte forte del merger di allora (i suoi azionisti ebbero il 55 per cento della società nata dalla fusione), furono meteoriche, come in Italia quelle di Tiscali. Nata nel 1983, essa arrivò al successo nei secondi anni ’90, quando la metà degli americani collegati a Internet passavano per il suo portale. Ma non resse alla transizione tecnologica da dial-up (collegamento via modem) a broadband (collegamento continuo) e questo provocò – insieme con lo scoppio finale della bolla Internet nel frattempo verificatosi – il crollo della capitalizzazione a 20 miliardi di dollari.

Ma, come spiega Rita Gunther McGrath della Columbia Business School in una sua interessante analisi del 2015 su Fortune, il fallimento del disegno strategico alla base della fusione ebbe anche altre cause profonde: “Merging the cultures of the combined companies was problematic from the get go. The aggressive and arrogant AOL people “horrified” the more staid and corporate Time Warner side. Cooperation and promised synergies failed to materialize as mutual disrespect came to color their relationships”.

AT&T, a differenza di AOL, è una società molto più strutturata e con una lunga storia alle spalle. Alle sue origini c’è l’AT&T creata da Bell nel 1885, ma la sua vita recente ha origine nel 1983 – l’anno di nascita di AOL – come uno dei sette “spezzoni regionali” in cui Reagan aveva diviso, in un’ottica di liberalizzazione del mercato telecom, la società originaria. Insieme con Verizon, cresciuta a partire da un altro “spezzone”, domina il mercato telecom statunitense e ha una capitalizzazione di 230 miliardi di dollari: per un’altrettanto curiosa coincidenza, circa la stessa di AOL allora. Perché AT&T vuole comprare Time Warner, così come Verizon sta trattando le attività core di Yahoo?

Credo che le grandi telecom provino un notevole senso di frustrazione nel vedere come le grandi del mondo Internet siano capaci – passando attraverso le loro infrastrutture – di creare molto più valore. AT&T e Verizon hanno sì raddoppiato il loro valore negli ultimi 10 anni. Ma nel frattempo Alphabet-Google è passata da 80 a 540 miliardi di dollari, Apple da poco più di 50 a oltre 600 e Amazon da 15 a quasi 400. Facebook addirittura, che allora aveva solo 2 anni, ne vale 370. Mentre la nostra povera Telecom Italia, che allora ne valeva 55 (più di Apple), è scesa a poco più di 15.

Riuscirà AT&T, ma lo stesso discorso vale per Verizon, ad avere successo con questa operazione? Non ho ovviamente una risposta, ma credo che la vera sfida sia la stessa che dovettero affrontare (allora fallendo) AOL e Time Warner: trovare il modo per far convivere e integrare fra loro culture a priori molto lontane.

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