BIG DATA

Big Data: cosa sono e perché grazie alle analitiche il business continua a crescere

Gestire la moltiplicazione dei dati significa anche saper usare strumenti di analisi adeguati. Per la governance questo bundle della BI sarà un’arma vincente. Qualsiasi azienda con gli algoritmi giusti diventerà più competitiva e vedrà crescere rapidamente il proprio business

13 Feb 2017

Che cosa sono i Big Data? Sono una quantità crescente di informazioni che la trasformazione digitale del business sta facendo circolare dentro e fuori alle aziende. I Big Data, ad esempio, vengono dai sensori integrati in migliaia di oggetti che, collegati alla Rete, oggi chiamiamo Internet of Things; secondo il McKinsey Global Institute oggi sono già più di 30 milioni, collegati in rete e utilizzati nel settore automobilistico, industriale, nei servizi pubblici, o nella vendita al dettaglio e il numero ogni anno lievita del 30%.

Al di là dei flussi di dati prodotti dai sistemi informatici e dalle infrastrutture a supporto della produzione, della distribuzione e dell’erogazione dei servizi, i big data sono un fenomeno associato a un’evoluzione massiva degli usi e delle abitudini della gente. Ogni volta che usiamo un computer, accendiamo lo smartphone o apriamo una app sul tablet, sempre e comunque lasciamo una nostra impronta digitale fatta di dati.

Big Data Analytics: dai browser ai social qual è il significato

I Big Data, infatti, vengono anche dalla multimedialità sempre più spinta che ha origine dal proliferare di dispositivi fissi e mobili che usiamo per vivere e per lavorare. Secondo un’indagine Cisco, ad esempio, attualmente il 78% della banda statunitense è occupata dai video, ma nel 2018 verrà saturata per l’84%. La familiarità con il videosharing e una cultura dell’immagine che porta le persone a condividere ogni tipo di scatto fotografico aiuterà chi saprà gestire questa mole di dati a capire ancora meglio gusti e tendenze, orientando meglio le decisioni.

I Big Data vengono anche dai social media, e da tutto il traffico di opinioni e di pensieri che transita dai vari sistemi di CRM, dalla cassa di un supermercato che striscia una carta fedeltà a una telefonata che arriva a un call center.

A differenza di molte mode tecnologiche, infatti, i Big Data non sono un trend ma una necessità gestionale. E lo sono per qualsiasi tipo di organizzazione. Quei data set crescenti che sembrano far esplodere i database aziendali saranno le chiavi della competitività, della crescita del business e dell’inovazione. In che modo?

  • aiutando a capire le reazioni dei mercati e la percezione che questi hanno dei brand
  • identificando i fattori chiave che muovono le persone ad acquistare un certo servizio o un determinato prodotto
  • segmentando la popolazione per personalizzare quanto più possibile le strategie d’azione
  • abilitando nuove sperimentazioni consentite dalla disponibilità di dati inediti
  • guadagnando in predittività, grazie a uno storico di informazioni talmente ad ampio raggio e puntuale da consentire simulazioni molto più che verosimili
  • abilitando nuovi modelli di business

Anche in Italia il mercato dei Big Data cresce: nel 2016 del 44%, per un valore complessivo di 183 milioni di euro (Fonte: Osservatori digital Innovation – Politecnico di Milano). Il business, infatti, c’è e si vede.

Esempi di Big Data: Web 2.0 e analisi della nostra anima digitale

La maggior parte delle persone ha solo una vaga idea di quanto Google abbia una conoscenza profonda di tutto quello che cerchiamo on line, oppure di quanto Facebook conosca (di tutto e di più) su amici, sentimenti, preferenze, sogni e bisogni della sua grande community?

Anche se non glielo abbiamo mai detto, Google sa riconoscere le nostre generalità, profilandoci in base alle nostre modalità di navigazione per proporci pubblicità assolutamente mirate da rasentare la personalizzazione su misura. Per tutta quella metà del cielo che ha scelto Android, MountainView sa sempre dove siamo stati, dove abbiamo viaggiato, sostato, mangiato o pernottato.

Facebook, invece, con il suo miliardo di iscritti, sa persino quando una storia d’amore è arrivata a un punto critico. Sulla base degli aggiornamenti di stato delle bacheche (ogni minuto sono pubblicati 3,3 milioni di post), l’azienda può prevedere se un rapporto è destinato a durare, con una precisione inquietante. Per non parlare di Twitter che ogni 60 secondi movimenta 347mila tweet e che ha sviluppato una API (Application Program Interface) che consente a terze parti di accedere a ognuno di questi (per definizione tutti pubblici): si tratta di dati non strutturati, scandagliati da nuove tecniche di sentiment analysis che riescono a capire le emozioni contenute nelle informazioni testuali, aiutando i decisori (aziendali e politici) a capire dove va il vento dell’opinione pubblica.

Ma non sono solo Google, Facebook o Twitter a tracciare qualsiasi nostra azione digitale: i Big Data sono la linfa del business anche per Bing, per Yahoo, per Amazon e per qualsiasi Internet Provider che in ogni momento conosce le pagine che visitiamo (anche quando crediamo di farlo in modalità nascosta).

Esempi di Big Data: il lato analitico delle smart city

Passando all’ordine pubblico, le smart city stanno diventando un fulgido esempio di Big Data Management. Grazie ai lampioni sensorizzati, la PA riesce a gestire meglio i picchi del traffico e a monitorare l’inquinamento. La polizia può ricostruire i percorsi automobilistici sospetti analizzando le telecamere a circuito chiuso (CCTV) sempre più onnipresenti fuori dai locali e dalle banche. Per la raccolta differenziata si usano tag RFID che rendono cassonetti, mastelli e sacchetti connessi e comunicanti.

Secondo gli analisti di McKinsey, in Europa le amministrazioni pubbliche da una buona gestione dei Big Data possono ottenere risparmi nell’ordine di 100 miliardi di euro, incrementando l’efficienza operativa. Una cifra che potrebbe aumentare a dismisura se i Big Data fossero utilizzati anche per ridurre le frodi e gli errori, traguardando la trasparenza fiscale.

Esempi di Big Data: l’evidenza delle analitiche nel retail

I ricercatori hanno rilevato come nella distribuzione i retailer che fanno uso dei Big Data hanno aumentato i propri margini del 60%. In che modo?

Analizzando i comportamenti di acquisto, ovvero lo scontrino, associato alla carta fedeltà e alle varie interazioni con le promozioni, gli annunci, l’e-mail marketing, le eventuali newsletter che si ricevono periodicamente e periodicamente si aprono. Tutto questo rappresenta una montagna di informazioni da collezionare e da analizzare per definire un’offerta sempre più a misura di cliente. Dal punto di vista dei servizi associati alla geolocalizzazione (beacon, NFC, app, touch point interattivi) generano Big Data che, se ben gestiti, secondo gli esperti consentirebbero di generare qualcosa come 600 miliardi di dollari favorendo un surplus dei consumi.

Big Data Management significa andare oltre l’elaborazione degli ordini, implementando nuovi sistemi a supporto delle campagne di marketing arrivando a gestire meglio i programmi fedeltà attraverso un monitoraggio dei feed back registrati da ogni singola promozione, lancio di prodotto, iniziativa ma anche potendo gestire le richieste di garanzia o i reclami, arrivando a raggiungere una visione a 360 gradi dei clienti, dei prodotti e di qualsiasi operazione commerciale.

Anche i mercati digitali sono conversazioni

La questione con i Big Data non è tanto la loro quantità, quanto la capacità delle aziende di riuscire ad analizzare nel modo corretto i dati disponibili. La formula è di tipo conversazionale e si sviluppa in tre tempi: interrogazione, risposta e visione di dettaglio. Algoritmi sempre più sofisticati consentono di intercettare e interpretare ogni flusso digitale che sta percorrendo o ha percorso la Rete. È questo il progresso tecnologico che sta rivoluzionando i modelli di business.

“La maggior parte delle aziende sta catturando solo una porzione ridotta delle potenzialità associate ai Big Data – sottolinea Alessio Botta, partner di McKinsey & Company, responsabile delle attività di advanced analytics per l’area del Mediterraneo -. Il motivo non è solo un problema di budget associato agli investimenti necessari ma anche, e soprattutto, di competenze. Sul mercato ci sono ancora pochi Big Data manager capaci di valorizzare le informazioni e i dati presenti in azienda”.

Come spiegano gli esperti, l’ambito è ancora nuovo e la capacità di abbracciare più livelli informativi e più orizzonti di analisi richiede una preparazione che ancora non ha uno storico. Non solo: servono doti relazionali, comunicative e di leadership, attitudine al lavoro di team, capacità di analisi e di problem solving.

A tal fine, l’ultimo report di McKinsey (“The age of analytics”) identifica quattro tipologie di profili che saranno sempre più richiesti dalle aziende:

  1. i data architect, cioè coloro che progettano i sistemi di dati e i relativi workflow
  2. i data engineer, in grado di identificare le soluzioni basate sui dati e di sviluppare prodotti di scouting e di analisi mirati
  3. i data scientist, che analizzano i dati grazie ad algoritmi sempre più sofisticati
  4. i business translator, figure bimodali che dispongono di conoscenze tecniche e di competenze relative al business

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