Internet of Things

Cosa significa IOT e come e perché così si rende il mondo (ed il business) più smart

La IoT è intelligenza delle cose ma la storia della Internet of Things affonda in un passato di esigenze e di vision. Solo oggi sta diventando sempre più evidente che non esiste business che non possa trarre vantaggio dalle tecnologie più smart. Cosa significa davvero la IOT e cosa cambia per le aziende?

14 Giu 2016

È uno dei termini tra i più cool del momento quando si parla di innovazione, digital transformation e disruption, ma che cosa significa Internet of Things? In sintesi, significa che qualsiasi oggetto può diventare connesso e comunicante, usando un insieme di tecnologie: l’identificazione univoca, la tecnologia wireless e un nuovo tipo di intelligenza software.

Il vero motivo per cui si chiama Internet of Things? Perché è il Web la piattaforma che funge da abilitatore, permettendo lo scambio dei dati e, dunque, delle informazioni tra un oggetto smart e un sistema di gestione smart.

In realtà, il concetto fondamentale della Internet of Things non è legato all’intelligenza delle cose quanto, piuttosto, all’intelligenza dei servizi, associati al potenziale di Internet e a un modello di sviluppo grazie al quale è possibile integrare praticamente a qualsiasi cosa una piccola componente tecnologica dotata di una capacità elaborativa tale da trasformare qualsiasi oggetto in un dispositivo comunicante senza usare cavi. È così che l’oggetto diventa smart, sfruttando l’innovazione digitale associata all’evoluzione mobile, al cloud, ma anche a nuove logiche collaborative che inaugurano un CRM di nuova generazione a livello di tutta la filiera.

Come premesso, infatti, la Internet of Things non è una tecnologia ma un insieme di tecnologie. Un oggetto diventa intelligente quando è dotato di un tag RFID, ovvero un chip che, grazie a una piccola antenna e a un po’ di memoria costruita nel silicio, viene letto da un dispositivo (fisso o mobile) mentre le informazioni gestite vengono elaborate da un software (middleware) che può essere integrato a qualsiasi sistema gestionale (ERP inclusi). Dietro tutta un’infrastruttura di connessioni costituita da sistemi di comunicazione caratterizzati da protocolli diversi a seconda del tipo di servizio attivato.

Le origini della IOT

Sono in pochi a conoscere la vera storia della Internet of Things. Un tempo, infatti, si chiamava semplicemente… tecnologia RFID. I prodromi? Risalgono all’avvento di una tecnologia associata all’identificazione univoca (Auto-ID) e, in particolare, all’uso di quella RadioFrequency IDentification nata in ambito militare durante la seconda guerra mondiale per aiutare gli eserciti a riconoscere in volo gli aerei amici da quelli nemici. Dall’Identification of Things alla Internet of Things, l’evoluzione tecnologica è costellata di tante tappe intermedie, legate allo sviluppo di una sensoristica diversificata e al progresso dei sistemi di codifica, di lettura e di trasporto delle informazioni attraverso quel wireless che solo con l’avvento del protocollo IP ha portato a una svolta che ha cambiato veramente le regole di ingaggio del business.

Prima della IoT, infatti, c’erano varie branche di ricerca e sviluppo: Auto-ID, Machine to Machine (M2M), Human to Machine (H2M) e Animal to Machine (A2M) da una parte e reti Mems (Micro Electro-Mechanical Systems) dall’altra. A coniare il nome, in realtà, è stato un cervellone del Massachusetts Institute of Technology (MIT).

«Potrei sbagliarmi, ma sono abbastanza sicuro che la frase Internet of Things sia nata come titolo di una presentazione che ho fatto per Procter&Gamble nel 1999 – ha spiegato Kevin Ashton, direttore esecutivo del Centro di Auto-ID del MIT -. Collegare il nuovo approccio RFID della supply chain di P&G con l’argomento, allora rovente, di Internet fu un ottimo modo per attirare l’attenzione dei dirigenti. Credo riassuma un’importante intuizione, spesso ancora fraintesa».

La più grande sfida per la IOT, infatti, non sono tanto le tecnologie quanto le vision necessarie a comprendere come la reingegnerizzazione dei processi legata all’identificazione univoca porti in azienda un’integrazione, una velocità e una trasparenza tali da imporre nuovi regimi di controllo e di efficienza a qualsiasi livello organizzativo. La questione non è tanto se farlo o meno: il passaggio, infatti, è obbligato. Globalizzazione, time to market, competizione e digitalizzazione sono solo alcuni dei driver di una digitalizzazione intelligente che vede la IOT come una piattaforma a cui tutte le aziende, prima o poi, dovranno tendere. Secondo i dati dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, solo in Italia il mercato dal 2014 al 2015 è cresciuto di un +33%, arrivando a generare un valore pari a 2 miliardi di euro, di cui il 27% costituito da soluzioni che utilizzano tecnologie diverse dalla rete cellulare e il 73% costituito da soluzioni che utilizzano una rete cellulare. In totale ad oggi gli oggetti connessi a una rete cellulare in Italia sono 10,3 milioni (tra smart object e concentratori).

Perché la Internet of Things aiuta il business

Perché investire nella Internet of Things? Semplice: perché conviene. L’intelligenza computazionale, unitamente a un uso delle tecnologie ultima generazione e a una Internet sempre più capace, ubiqua e pervasiva, oggi abilitano un ventaglio di nuovi servizi, a portata di mano e a portata di azienda.

Integrare le informazioni secondo un concetto di filiera, significa accelerare i processi legati al Big Data Management e potenziare l’uso di quelle analitiche di cui ogni Line of Business (LOB) ha così tanto bisogno per prendere in fretta decisioni strategiche a supporto del business. Gli smart data arrivano dai sistemi intelligenti ma anche e soprattutto, dagli oggetti intelligenti (smart object). Secondo McKinsey Global Institute report, The Internet of Things: Mapping the value beyond the hype (2016), se i governi e le imprese riusciranno a cogliere il valore della IOT, collegando il mondo fisico e digitale attraverso una sensoristica avanzata e nuove piattaforme integrate, entro il 2025 si potrebbe arrivare a generare un valore economico pari a 11 trilioni di dollari l’anno.

Ad oggi qual è lo stato di avanzamento? Molto più ampio di quanto si immagini. C’è chi usa la IOT per taggare i faldoni di un archivio e non perdere più tempo a cercare le cose o a fare inventari, c’è chi invece usa la IOT per velocizzare la logistica oppure chi la usa per tracciare i vestiti e contrastare la contraffazione, il mercato nero e il mercato grigio così come è IOT l’azienda agricola che ha deciso di portare una nuova intelligenza nei suoi allevamenti, dal maialino al salamino. È IOT il telepass che risolve il pagamento ai caselli evitando la fila così come è IOT lo skypass che permette agli sciatori di accedere velocemente alle piste. In molti ospedali la IOT serve a tracciare le sacche del sangue o a gestire le criobanche (lo fa l’Istituto Tumori di Milano, ad esempio). Nell’automotive la IOT è iniziata con la chiave che apre le porte dei veicoli e oggi è una chiave per moltissimi servizi a valore aggiunto. È IOT lo smartphone NFC che abilita transazioni ma anche interazioni con oggetti che si raccontano nei musei così come nei parchi divertimento o nei negozi più evoluti, che trasformano la tecnologia in una call to action per generare eventi e comunicazioni speciali e one to one.

In generale, le aziende che scelgono di reingegnerizzare i loro processi investendo nella IoT integrano una tracciabilità e una rintracciabilità a prova di errore, azzerando ridondanze e riducendo i costi di esercizio, il tutto garantendo ai clienti massima trasparenza informativa e maggiore velocità nell’accesso a un bene (che sia un’informazione, un prodotto o un servizio), migliorando l’efficienza e l’efficacia delle procedure, secondo un principio di integrazione, scalabilità e flessibilità nel breve, nel medio e nel lungo termine che, altrimenti, sarebbero davvero impossibili.

Ciò detto è importante sottolineare come, rispetto a qualche anno fa, parlare di questa innovazione tecnologica è molto più facile: da quando è arrivato lo smartphone, infatti, le persone hanno iniziato a capire che la tecnologia fa fare alle cose… tante più cose. Come? Cortocircuitando il mondo fisico e il mondo digitale, abilitando nuove modalità di accesso alle informazioni, che possono essere condivise tra più attori della filiera, arrivando a quel consumatore finale che, prima ancora dei prodotti, cerca informazioni.

Quello che sta davvero cambiando nella smartificazione del mondo, infatti, è che l’intelligenza computazionale è uscita dai computer e oggi può essere integrata a un qualsiasi oggetto, che diventa a tutti gli effetti un touch point interattivo che mette in comunicazione le persone tra loro, i brand con i consumatori, le PA con i cittadini, le aziende con le filiere il tutto in un’unica soluzione di continuità. La chiave di volta della IOT, infatti, è la massima circolarità di un’informazione sempre più precisa e di qualità, che aiuta a vedere e a capire meglio quello che succede ai colleghi, ai clienti, ai consumatori e ai cittadini. Non solo: grazie a una bidirezionalità garantita dalle tecnologie più evolute, la IOT consente anche di ascoltare e di attivare un processo di comunicazione più completo e funzionale al business.

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